Presentazione del catalogo della mostra alla Galleria La Sfera
Vittorio Veneto (TV) 1968
di Giuseppe Mesirca*

Ci sarebbe un lungo discorso da intessere intorno al tema (ma è poi tale?) del nudo femminile che De Roberto tratta in tutti i suoi disegni di questi ultimi anni con un’insistenza quasi al confine dell’ossessione. Per esempio da quali sollecitazioni formali, di contenuto cioè, trae gli spunti la sua ispirazione, anche se con questa parola, ormai relegata nel repertorio delle voci proibite, si pone già su di lui una grossa ipoteca.
Per la verità, questi assembramenti di donne ignude, colte in atteggiamenti diversi, dalla quiete più assorta a un delirante contorcersi, inducono a pensare ad altre “folle” che nel corso dei secoli l’arte figurativa ci ha offerto in esemplari illustri, ormai affidati alla storia. E sono le baccanti di Poussin, e via via, le bagnanti di Ingres, di Cézanne, di Renoir, le odalische di Matisse, le greche in corsa di Picasso, e altre ancora, con tutto il peso della loro carne inquietante.
Ma nell’osservare con attenzione i disegni di De Roberto, viene il sospetto, trasformato poi da un ulteriore approfondimento in certezza, che il suo interesse, più che a un particolare contenuto, del resto non bene identificabile (Eden perduti, caravanserragli infernali, ginecei in fermento) si rivolga ai suggerimenti puramente grafici che esso può suscitare. E allora se ne deduce che qui, in fondo, siamo di fronte ad un’operazione mentale di alta classe, della quale l’immagine rappresentata, più che il fine, è il pretesto o, meglio, l’occasione per orchestrare una serie infinita di suggestive variazioni di segni e di macchie sul foglio bianco, con una libertà che si sfrena in tutte le sue possibili direzioni.
E che De Roberto sia un abilissimo e raffinatissimo orchestratore di ritmi compositivi ne abbiamo la conferma quando dai disegni appena macchiati, ai quali, in taluni, il colore dell’acquarello o della matita, usato con sapienza, accresce la già fascinosa stesura (e come, pur in tutt’altre dimensioni, non invocare gli straordinari esempi del Pontormo, del Guercino, del Diziani?), per via di esemplificazioni non certo arbitrarie, ma suggerite dalla necessità, giunge al puro contrappunto di segni quasi astratti, simili, per continuare il paragone musicale, ai siderei suoni del dodecafonico Webern, dopo l’induglio alquanto romantico sulle solitarie perorazioni di Brahms.
Né questi disegni potevano desiderare, per essere esposti, un luogo più propizio della natia Serravalle, dove le splendide architetture e la bellezza della natura costituiscono una cortina incomparabile.

 

*Medico condotto. scrittore e saggista veneto, finalista al Premio Campiello del 1967