Presentazione del catalogo “ Disegni dal 1939 al 1984”
Canova, Treviso 1985
di Guido Perocco*

Carlo De Roberto ha trascritto in disegni con la sua penna in cinquant’anni di lavoro una valanga di impressioni, di sogni, di fantasie, di realtà, uomini, donne, stati d’animo come raramente mi era capitato di vedere in un artista. Ma la prima suggestione che si ha di fronte a questo immane lavoro è la quiete interna che esprime, la sicurezza che ogni immagine, per quanto possa apparire labile, va sicuramente al suo posto, come la maglia di un ordito preparato con meditata costanza e con lucida precisione.
Vengono in mente le parole di Montale: “Ma io vedo più in là” ed è così anche per Carlo De Roberto. Egli vede sempre più in là della pagina che raccoglie una sua opera: ne vede un’altra, poi un’altra ancora che tendono insieme una dopo l’altra ad oltrepassare dalla grafica alla pittura e alla musica. Carlo De Roberto è un fenomeno della penna che riesce con una purezza unica e singolare a convogliare nel suo disegno non solo l’immagine come tale, ma riesce anche a suggerire altri campi dell’arte come la pittura con la sua sensualità e le sue illuminazioni e la stessa musica per sua natura così concreta e così aerea.
Diceva Valery nell’Eupalinos che prediligeva la musica perché ha la virtù nascosta di animare tutte le favole. Ed è per questa via che ci accingiamo a vedere non solo i disegni di Carlo De Roberto, ma a scoprire questa virtù nascosta con la quale il disegno diventa melodia nel significato originale della parola, canto, qui tradotta in immagine nella figura, nel paesaggio, nell’oggetto, frammento di un volto, uno sguardo, campitura di un ciclo.
Eppure tutto questo ordito Carlo De Roberto lo ha fatto con il puro disegno. Pr quanto tenti di sconfinare, da perfetto regista della sua materia, lo fa sempre con la stessa penna, compresa la pittura e la musica. E’ il suo poetico filo di Arianna che segue sicuro nel labirinto delle idee e delle intuizioni: sa che quella è la via giusta, un filo lungo come quello delle fiabe per giungere al lumicino lontano.
Questo criterio di base ci fa da guida nell’amplissimo arco dei suoi disegni che inizia nel 1937 e continua tutt’oggi vivacissimo senza interruzione. Ecco i motivi conduttori del suo instancabile operare: studi di figura, studi di paesaggio, studi di pittura e di musica attraverso il solo segno grafico. Si tratta di cicli che alle volte si intersecano e confluiscono insieme, ma appartengono a categorie della mente nella ricerca del proprio mondo figurativo, che si concreta già dalle prime mostre sindacali del 1933, quando l’artista non aveva ancora diciott’anni.
Nel 1939 si distingue il disegno “Cinque figure” (fig. 12) che si affaccia quasi in modo irruente nella nostra fantasia: la composizione si snoda con un sicuro ritmo in un interno scuro, mentre esse appaiono plasticamente illuminate nelle pose più varie.
Si manifestano subito alcune componenti caratteristiche della grafica di De Roberto: il suo amore per lo studio di nudo suggerito dagli impressionisti e in particolare da Cézanne, Degas e Gauguin, ch’egli, all’ba dei suoi studi, intravvedeva come maestri contemporanei. Cézanne suggeriva la forma plastica determinata dalla luce e le sue graduazioni più che dalla linea di contorno; Degas le infinite movenze del copro mano studiate nell’eleganza tutta propria delle donne: Gauguin il blocco cromatico di alcune forme, il peso che esse talvolta sanno svelare ed i valori assoluti che assumono nella struttura della composizione.
Ma tutto questo agisce su un temperamento tipicamente veneto legato per natura alla linea del Settecento: al morbido, all’aereo, al musicale, che caratterizzano tutta la grafica del Settecento a Venezia e ne portano le conseguenze lontano tanto nei disegni quanto nelle incisioni. Un nome viene allora spontaneo alla labbra: Giambattista Tiepolo, tanto che molte sue divinità dell’Olimpo, nereidi, tritoni, fauni, ninfe, verrebbero a sedersi, così tenere ed innocenti, accanto alle creature di De Roberto.
La prima operazione quindi per intendere la grafica di De Roberto è di unire insieme il nome di Giambattista Tiepolo con quello degli impressionisti, sentirli uniti insieme nella stessa visione estetica. Poi è necessario andare ad analizzare da vicino alcune opere di spicco, là dove le porta il vento della Marca Trevigiana, in alcuni dei più bei posti scelti a caso tra i colli di Asolo e quelli di Conegliano. Al centro l’acqua del Piave raccoglie quella di ogni declivio e tutte insieme vanno verso il mare a Venezia. Così come è avvenuto nell’arte.
Le composizioni di nudo permettono di spostare i vari centri di gravità neposti più diversi così le luci, le cadenze, e gli spazi. In “Nudi in un interno” (fig. 13), ad esempio, i corpi sono posti in controluce in una chiarità diffusa, che stempera le linee di contorno; mentre in quella a due “Nudi al sole” (fig. 14) sono ben nitide le linee di contorno, altre volte sono solo le linee ad indicare la definizione plastica dei corpi in una luce unitaria (fig. 15).
Si passa da disegno a disegno ad impostazioni diverse e talvolta diametralmente opposte: l’elemento dominante è sempre la luce, intuita in modo più mentale che fisico. Ogni tanto nel ritratto, tracciato con puro segno, “Il giovane di campagna” (fig. 16) l’artista si misura con un virtuosismo insolito nel definire una personalità ed un carattere ben precisi. Alle volte una sola figura “Nudo disteso” (fig. 17) lungo la diagonale occupa l’intero foglio; alle volte i corpi s’infittiscono in uno spazio ristretto con bagliori di luci cupe( fig. 18).
La scelta oculata di tante opere in una immensa quantità di lavoro ci può offrire le combinazioni più varie. Nella “Composizione quadrata” (fig. 19) le simmetrie sono legate due a due: due a sinistra, due nel centro, chinate in un unico movimento, e due a destra legate dalla medesima corrispondenza.
Più s’infittiscono, di solito, le figure, maggiore è anche il furore della linea che le abbozza con un crescendo, che si specchia nella varietà delle movenze e delle pose. Ma non è una legge assoluta: si veda, ad esempio, “Risveglio” (Fig.26) in cui l’immagine più che dalla realtà esce come un fumo dalle pagine del romanzo di Virginia Woolf che vuole illustrare. “Gemma che dorme” (fig. 22) è tutto pittura con luci chiare, e poche penombre suggeriscono il raccoglimento e la quiete, mentre “Innamorati” (fig. 31), uniti insieme dalla passione che li travolge, sono uniti anche da una linea concitata e nervosa che segna anche il loro destino.
Si può dire che ciascuna composizione presenta un problema particolare, col variare degli inchiostri, degli sfondi o nel bloccare una figura come “Anita” (fig. 2) tutta definita in modo unitario come una scultura a tutto tondo. Per contrapposto “Anita distesa” (fig. 43) è solo un accenno alla dinamica del corpo, appena tracciato, mentre “Nudo” (fig. 23) ci appare una giovane donna in tutta l’evidenza della sua energia mediante una sintesi plastica e lineare mirabile.
Solo dopo il 1948 appaiono i primi disegni di paesaggio di questa antologia: quelli precedenti non sono stati inclusi perché all’artista premeva prima far conoscere la qualità e l’evoluzione degli studi di nudo. Questi studi hanno tale importanza che seguono continuamente le più diverse esperienze di paesaggio. Si avverte che Carlo De Roberto si avvia sempre più verso l’essenziale. Le composizioni di nudi divengono sempre più concitate, tendono ad una astrazione lirica. L’ambizione più alta dell’artista, come si diceva, tende alla pittura e alla musica. Per Carlo De Roberto che ha il segno grafico naturale come il respiro, questa tendenza si esprime con l’eleganza della linea, una grazia della mente di condurre la mano sotto l’impulso del cuore all’infuori di ogni rappresentazione reale. La mano diventa allora un sismografo: nulla può sfuggire. Si veda “Figure ammantellate nel vento” (fig. 48), “Tre figure” (fig. 5), “Composizione lunga” (fig. 53), “Passo di danza” (fig. 56), “Nudo” (fig. 55), alcuni nudi appena accennati a cui seguono la “Piccola composizione” (fig. 64), “Composizione diagonale” ( fig. 8), quella leggermente colorata del 1984 (fig. 9) e quelle a tenui passaggi a chiaroscuro (fig. 6, 77, 78, 87). E’ un momento di contemplazione pura. L’artista si immerge nel visibile con la tensione dell’innamorato che coglie con gioia ogni pulpito di vita.
I primi paesaggi hanno inizio con i famosi motivi veneziani di San Marco. Ma segnaliamo subito “Facciata di San Moisé” (fig. 46), che è una interpretazione del barocco a Venezia leggera come un soffio. L’esperienza del paesaggio rispetto agli studi di nudo è diversa, ma nella stessa coordinata mentale e negli stessi moduli fantasiosi.
Ecco “Place des Vosges d’inverno” (fig. 61) leggera e minuta come lo scenario di un teatro in miniatura, la finestra aperta su “Cortellazzo – L’osteria alla foce del Piave” (fig. 63), gli incantevoli disegni di Dubrovnick (figg. 65, 66, 67) così essenziali (scalinata, piazza, fortezza) per darci alcuni aspetti determinanti della città.
“Olivo in Dalmazia” (fig. 69) ha un carattere profondamente espressionistico, come una creatura umana compartecipe della nostra psicologia. Lo stesso avviene talora per un gruppo di piante, un filare di pioppi, un cespuglio fiorito.
“Treviso – Porta San Tommaso” (fig. 70) unisce il motivo ornamentale alla sintesi del paesaggio, così come nelle belle ville e sulle linee delle cancellate. Nei paesaggi predomina una nota lirica, tra le tante cose che l’artista racconta in fretta, a fiato sospeso sulla spinta di una nervosa allegria “Marina di Veruda” (figura 94).
Ma la bellezza della Marca Trevigiana appare di continuo, costituisce un motivo dominante che unisce insieme il Piave, il Montello ai vari colli che precedono le grandi montagne. Di un bosco, ad esempio, riesce a cogliere una percezione tutta mentale delle luci tra le foglie, i rami, i fusti degli alberi. Alle volte con un processo creativo di nitida intelligenza, l’artista ci mostra solo una parte del visibile, un frammento qualsiasi, una leggera oscillazione ritmica, che trasfigurano una emozione sospesa nell’aria e nelle cose, un momento di incantamento della memoria. Si intende che una parte interessa di più, una di meno, una è espressa, l’altra è sottintesa: così una finestra, una parete, il tetto di una casa, un profilo di montagne. C’è spesso anche nel paesaggio, oltre che nella figura umana, una ricerca di purezza grafica, un nitore astrale in queste immagini, immerse in una luce immota, senza un’ombra, quasi sospese come ad esempio nel “Meriggio d’estate” (fig. 83) alle foci della Livenza a Caorle, disegno eseguito con grande semplicità di mezzi, senso dello spazio e della luce estiva in una inquadratura perfetta.

 

*Storico dell’arte veneziano, professore universitario, è stato direttore della Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro