Presentazione del catalogo della mostra “Carlo De Roberto”
Palazzo Bonin Longare, Vicenza 1990
di Virginia Baradel

I disegni, gli acquarelli di Carlo De Roberto pesano allo sguardo assai poco; liberi di gravità, si levano come quinte albeggianti, leggere per il colore, leggere per la materia. Si dispongono con una gentilezza a lungo provata, con la cura e la fermezza dei gentili, che appartiene al modo antico di vedere la chiarezza intatta delle forme sensibili: poiché è dai corpi, dalle forme dei corpi che il suo sguardo sale. L’onore della superficie, cara più di ogni altro ai greci, il limite delle forme piene – ostacolo e oracolo per la luce -, ha costituito sempre per l’artista una matrice per cui la linea , che avanza come un labirinto di raffreddate carezze, opera una sottile ellissi poetica: la linea, il confine tra i corpi e l’aria, elide il peso e lascia, sospesa eppure intera, l’estensione della forma, la voce appena dei colori. In questo modo il limitare dei corpi, varietà di pose e intrecci, può uscire di plastico senno e diventare astratta danza di linee d’ombra, sentiero mercuriale dove scorre, come argento nero, l’energia che solca il foglio e collega volanti tracciati. Come tendini e vasi essi raccolgono le ombre: le opere che provvedono al nero permettono agli acquarelli colorati di liberare la costruttività della leggerezza.

Così come Dio / saremo in due **

Nessuno dimentica Klee (“…la storia lo possiede suo malgrado…” G. Veronesi), il suo gesto minimo di separare, come un dio, il colore dall’ombra, il farsi campo dell’uno e il farsi linea dell’altra. De Roberto fessura di vuoto i campi che galleggiano come esili pareti, cita a memoria i corpi, muove qualche varco d’orizzonte, vaghe linee di terra, qualche traccia del luogo dove Arianna adagiò il morbido corpo, quando pose il braccio intorno al capo e si addormentò. I colori, liberi nell’aria senza vento, raccontano dei sogni che sognò.

 

** Paul Klee, Poesie, 1901